Jazz! (Una dichiarazione di amore)

Doveva essere uno di quei pomeriggi da studente, un po’ abulici e malinconici, con entusiasmi fortissimi che si spegnevano improvvisamente.
I pochi soldi che giravano per le tasche andavano spartiti tra macchina, birre alla spina, affitto della sala prove, libri e dischi. Un budget elementare, ma difficilissimo da far quadrare a quell’età.

Quello non era certo il primo, di pomeriggi passati a bighellonare tra librerie e negozi di dischi, a soppesare copertine come fossero oracoli e Nuove Indie ancora inesplorate.
Non dimentico il gusto di trovarsi di fronte a qualcosa di sconosciuto pronto per te, la curiosità e la promessa di nuovo che ti straniava.

Di fronte al reparto musica jazz, passavo in rassegna i primi CD di jazz della mia vita, con le dovute reverenze e con la smania un po’ bulla di adolescente.
La copertina era una delle più brutte, un disegno scuro che a decifrarlo sembrava una pessima copia di un qualche ritratto, strano scegliere lui in mezzo a tanti ammiccamenti grafici: figure pensose, trasfigurate nello sforzo di produrre suoni, ridenti, grafiche piacevolmente retrò.

Dentro c’era una musica strana, con melodie che si frammentavano. Monk, con le sue dita tozze, pestava meno note di quanto un pianista avrebbe fatto, come se fosse controvoglia; John Coltrane, ancora giovane, dilagava con le sue prime mitragliate di note, prendeva le melodie e le spezzattava in minuscole rincorse.

La decisione di un attimo ha aperto un mondo, da allora esplorato abbondantemente, ma quel CD dalla copertina brutta e il titolo banale rimane ancora uno dei preferiti e sicuramente quello più amato.

Da ascoltare: Thelonious Monk with John Coltrane.

Aria fresca

Succede che è il tramonto, la luce che muore si porta via tutti i dettgli inutili che ti hanno distratto finora.
Ecco che ad un certo punto certi pensieri che avevi sparso nel giorno tornano tutti insieme.
Una rimpatriata di amici, la carrellata finale di una commedia un po’ di genere. E’ una specie di illuminazione per chi non può permettersene, un flash a primo prezzo.
Improvvisamente tutto torna. Sei consapevole (quando ti ricapita?); per qualche minuto la tua vita è uno spettacolo niente male e tu sei seduto proprio nel posto migliore: in prima fila.

Iniziare, continuare…

Mettiamo una mattina qualunque, verso le 8, facciamo che sia lunedì.
E poi mettiamoci freddo fuori e un cielo grigio. La fretta dei soliti preparativi, le corse, la ricerca nervosa delle cose. Qualche urto, perchè la casa è piccola.

Poi ad un tratto, lei ti prende per mano, ti mette a sedere e ti si accoccola addosso come una bambina. Si fa piccola che sembra quasi stare tutta fra le tue braccia.
Un minuto, forse due, senza tante parole. Poi si alza e torna davanti allo specchio.

La giornata riparte, ma non è più la stessa.

essilU

Tornare. Quando Ulisse non c’entra, quando hai fatto tutto il possibile per rallentare sulla via di casa.
Ti sei guardato indietro sempre una volta in più del necessario, ma adesso sei a casa.

Casa non è necessariamente sempre il posto migliore, quando quello che davvero conta non ha bisogno di valigie per essere sempre con te.
Sì, dovevi stare lontano per un po’ per capirlo, per tornare a vedere quello che era lì davanti ai tuoi occhi, ovvio banale.

Un’isola così grande che è una terra, giornate senza tempo a cui ti sei abituato in fretta, a cui è l’istinto che ti spinge, come per un bisogno primario.
Posti che sanno di vicino e lontano, presente e passato allo stesso tempo. Odori nuovi, tanti colori. Vento.
E l’unica costante, unica cosa fissa sempre lì, a portata di sguardo.
Da poterla toccare tutte le volte che vuoi.

Tornare. Storcere il naso di fronte ad un lento ma inesorabile ritorno a gesti e cose che non potevi dimenticare così in fretta.

Sentirsi comunque meglio e pronti. Andiamo.